martedì 23 maggio 2017

23 maggio 1992 – Un attentato mafioso, passato alla storia con il nome di strage di Capaci, uccide i magistrati Giovanni Falcone e Francesca Morvillo e i tre agenti della loro scorta



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La strage di Capaci fu un attentato messo in atto da Cosa Nostra in Sicilia, il 23 maggio 1992, sull'autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci nel territorio comunale di Isola delle Femmine, a pochi chilometri da Palermo.

Nell'attentato persero la vita il magistrato antimafia Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Gli unici sopravvissuti furono gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l'autista giudiziario Giuseppe Costanza.

L'uccisione di Falcone venne decisa nel corso di alcune riunioni delle "Commissioni" regionale e provinciale di Cosa Nostra, avvenute tra il settembre-dicembre 1991, e presiedute dal boss Salvatore Riina, nelle quali vennero individuati anche altri obiettivi da colpire. Nello stesso periodo, avvenne anche un'altra riunione nei pressi di Castelvetrano (a cui parteciparono Salvatore Riina, Matteo Messina Denaro, Vincenzo Sinacori, Mariano Agate, Salvatore Biondino e i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano), in cui vennero organizzati gli attentati contro il giudice Falcone, l'allora ministro Claudio Martelli e il presentatore televisivo Maurizio Costanzo.

In seguito alla sentenza della Cassazione che confermava gli ergastoli del Maxiprocesso (30 gennaio 1992), la "Commissione provinciale" di Cosa Nostra decise di dare inizio agli attentati: per queste ragioni, nel febbraio 1992 venne inviato a Roma un gruppo di fuoco, composto da mafiosi di Brancaccio e della provincia di Trapani (Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro, Vincenzo Sinacori, Lorenzo Tinnirello, Cristofaro Cannella, Francesco Geraci), che avrebbero dovuto uccidere Falcone, Martelli o in alternativa Costanzo, facendo uso di armi da fuoco. Qualche tempo dopo però Riina li richiamò in Sicilia perché voleva che l'attentato a Falcone fosse eseguito sull'isola adoperando l'esplosivo.

Tra aprile e maggio, Salvatore Biondino, Raffaele Ganci e Salvatore Cancemi (rispettivamente capi dei "mandamenti" di San Lorenzo, della Noce e di Porta Nuova) compirono alcuni sopralluoghi presso l'autostrada A29, nella zona di Capaci, per individuare un luogo adatto per la realizzazione dell'attentato e per gli appostamenti. Nello stesso periodo avvennero riunioni organizzative nei pressi di Altofonte (a cui parteciparono Giovanni Brusca, Antonino Gioè, Gioacchino La Barbera, Pietro Rampulla, Santino Di Matteo, Leoluca Bagarella), in cui avvenne il travaso in alcuni bidoni di 200 kg di esplosivo da cava procurati da Giuseppe Agrigento (mafioso di San Cipirello). I bidoni vennero poi portati nella villetta di Antonino Troia (sottocapo della Famiglia di Capaci), dove avvenne un'altra riunione (a cui parteciparono anche Raffaele Ganci, Salvatore Cancemi, Giovan Battista Ferrante, Giovanni Battaglia, Salvatore Biondino, Salvatore Biondo), nel corso della quale avvenne il travaso dell'altra parte di esplosivo (tritolo e T4) procurata da Biondino e da Giuseppe Graviano (capo della Famiglia di Brancaccio).

Negli stessi giorni Brusca, La Barbera, Di Matteo, Ferrante, Troia, Biondino e Rampulla provarono varie volte il funzionamento dei congegni elettrici che erano stati procurati da Rampulla stesso e dovevano servire per l'esplosione. Collocarono inoltre come segnale un elettrodomestico nel punto autostradale concordato e tagliarono i rami degli alberi che impedivano la visuale dell'autostrada. La sera dell'8 maggio Brusca, La Barbera, Gioè, Troia e Rampulla provvidero a sistemare con speciali skateboard i tredici bidoni (caricati in tutto con circa 400 kg di miscela esplosiva) in un cunicolo di drenaggio sotto l'autostrada, nel tratto dello svincolo di Capaci, mentre nelle vicinanze Bagarella, Biondo, Biondino e Battaglia svolgevano le funzioni di sentinelle.

Nella metà di maggio Raffaele Ganci, i figli Domenico e Calogero e il nipote Antonino Galliano si occuparono di controllare i movimenti delle tre Fiat Croma blindate che sostavano sotto casa di Falcone a Palermo per capire quando il giudice sarebbe tornato da Roma. Nessuna verità definitiva fu invece acquisita "in sede processuale sull'identità della fonte che aveva comunicato alla mafia la partenza di Falcone da Roma e l'arrivo a Palermo per l'ora stabilita".

Il 23 maggio Domenico Ganci avvertì telefonicamente prima Ferrante e poi La Barbera che le Fiat Croma erano partite per andare a prendere Falcone. Ferrante e Biondo (che erano appostati in auto nei pressi dell'aeroporto Punta Raisi) videro poi uscire il corteo delle blindate dall'aeroporto ed avvertirono a loro volta La Barbera che il giudice Falcone era effettivamente arrivato. La Barbera allora si spostò con la sua auto in una stradina parallela alla corsia dell'autostrada A29 e seguì il corteo blindato, restando in contatto telefonico per 3-4 minuti con Gioè, che era appostato con Brusca sulle colline sopra Capaci adiacenti al punto autostradale concordato. Alla vista del corteo delle blindate, Brusca attivò il telecomando che causò l'esplosione. La prima blindata del corteo, la Croma marrone, venne investita in pieno dall'esplosione e sbalzata dal manto stradale in un giardino di olivi a più di cento metri di distanza, uccidendo sul colpo gli agenti Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, che furono orrendamente mutilati dall'impatto. La seconda auto, la Croma bianca guidata da Falcone, si schiantò contro il muro di cemento e i detriti improvvisamente innalzatisi per via dello scoppio, proiettando violentemente Falcone e la moglie, che non indossavano le cinture di sicurezza, contro il parabrezza. Rimasero gravemente feriti invece altri quattro componenti del gruppo al seguito del magistrato: l'autista giudiziario Giuseppe Costanza (seduto nei sedili posteriori della Fiat Croma bianca guidata dal giudice) e gli agenti Paolo Capuzza, Gaspare Cervello e Angelo Corbo, che sedevano nella Croma azzurra, la terza blindata del corteo.

La strage di Capaci, festeggiata dai mafiosi nel carcere dell'Ucciardone, provocò una reazione di sdegno nell'opinione pubblica. Secondo le testimonianze dei collaboratori di giustizia, l'attentato di Capaci fu eseguito per danneggiare il senatore Giulio Andreotti: infatti la strage avvenne nei giorni in cui il Parlamento era riunito in seduta comune per l'elezione del presidente della Repubblica ed Andreotti era considerato uno dei candidati più accreditati per la carica ma l'attentato orientò la scelta dei parlamentari verso Oscar Luigi Scalfaro, che venne eletto il 25 maggio, ovvero due giorni dopo la strage.

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2 commenti:

  1. Non dimentichiamoci di loro ma che questo ricordo sia utile anche per ricordare chi oggi vivo lotta contro quello stesso nemico ed è lasciato solo.

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