mercoledì 14 settembre 2016

Lavoro: il giallo dei dati


Articolo da Effimera

Come per ogni thriller che si rispetti, partiamo dai fatti, o meglio, dai comunicati stampa. Il 9 settembre, il  Ministero del Lavoro rende noto i dati relativi alle comunicazioni obbligatorie relative ai licenziamenti e alle assunzioni del II trimestre 2016 (aprile-giugno). In sintesi, il quadro che emerge si può facilmente riassumere nel seguente modo: calano le assunzioni e aumentano i licenziamenti complessivi  (+7,4% su base annua).

Nel periodo considerato, infatti,  i licenziamenti sono stati 221.186, (15.264 in più, rispetto al secondo trimestre 2015). Da notare, che sono aumentate quelli promossi dal datore di lavoro (+8,1%) mentre si sono ridotte le dimissioni del lavoratore (-24,9%). Si cominciano così a registrare gli effetti della liberalizzazione dei licenziamenti padronali, introdotta dal Jobs Act.

Fra le assunzioni risultano invece in netto aumento, del 26,2%, gli avviamenti in apprendistato, mentre calano vistosamente (- 29%) le assunzioni con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Si sta così verificando un effetto sostituzione, che ha cause ben precise. Da un lato, come era prevedibile, la riduzione dei forti incentivi fiscali, ridotti di quasi 2/3 dal 1 gennaio 2016, ha penalizzato il ricorso al contratto a tutele crescenti, fiore all’occhiello del Jobs Act, dall’altro, il maggior ricorso all’apprendistato (a basso costo) è il frutto dell’avvio del progetto Garanzia Giovani. In altre parole si sostituisce lavoro a termine (perché tale è il contratto a tutele crescente) con lavoro precario sottopagato.

Il 12 settembre, l’Istat pubblica il rapporto sull’andamento del mercato del lavoro italiano, con un titolo anomalo: “Il mercato del lavoro: un rapporto integrato”, dove si legge quanto segue:

Nel secondo trimestre del 2016, in un contesto di generale rallentamento della crescita economica a livello internazionale, l’economia italiana ha registrato una battuta d’arresto. Il Pil è rimasto invariato rispetto al trimestre precedente e ha segnato un aumento dello 0,8% in termini tendenziali. In tale quadro l’assorbimento di lavoro da parte del sistema produttivo continua ad aumentare: le ore complessivamente lavorate crescono dello 0,5% sul trimestre precedente e del 2,1% su base annua. L’aumento congiunturale ha riguardato sia l’industria in senso stretto (+0,4%), sia i servizi (+0,6%)”. Dal lato delle misure dell’offerta di lavoro, nel secondo trimestre del 2016 l’occupazione complessiva cresce in modo sostenuto rispetto al trimestre precedente (+0,8%, 189 mila), con una dinamica positiva che, con diversa intensità, riguarda tutte le tipologie: i dipendenti a tempo indeterminato (+0,3%), quelli a termine (+3,2%) e gli indipendenti (+1,2%)”.

Dopo aver riconosciuto che “l’economia italiana ha registrato una battuta d’arresto” nello stesso periodo (il Pil non è cresciuto nello stesso periodo dell’anno), tuttavia ci sono segnali di ripresa dell’occupazione. Dopo lo shock dei dati del  Ministero del lavoro di 3 giorni prima (aumento dei licenziamenti e un aumento dei contratti precari e sottopagati), il governo può, opportunamente, tirare un respiro di sollievo. Renzi gongola e twitta: “Dati ufficiali Istat di oggi. Nel II trimestre 2016 più 189mila posti di lavoro. Da inizio nostro governo: più 585mila. Il #JobsAct funziona”.

È evidente che le due fonti (entrambi “ufficiali”, il Ministero del Lavoro e l’Istat) sono in palese contraddizione. E allora? Qual  è l’interpretazione che ne possiamo dare, sapendo benissimo che i dati statistici possono essere interpretati per dare versioni tra loro opposte (do you remember il pollo di Trilussa)?.

Occorre tuttavia ricordare che oggi, ai tempi dei big data e degli algoritmi “machine learning”, operazioni di detournamento cosi palese dei dati sono assai difficili, anche a prescindere dalla macchina mediatica che ci sta dietro. Al riguardo, ricordiamo che i dati del Ministero del Lavoro sono stati poco evidenziati dai media mainstream (La Repubblica, Il Corriere della Sera, Il Sole 24ore e televisione), mentre sono stati assai enfatizzati  i dati favorevoli (al Jobs Act) dell’Istat. Ma, ca va sens dire, è la correttezza dell’informazione!

Eppure se procediamo a un’analisi più attenta dei dati, ci potremmo accorgere che i dati riportati nei due report (Ministero del Lavoro e Istat) non sono fra loro poi così tanto contradditori.


In primo luogo, è necessario rimarcare il fatto che non solo siamo in presenza di crescita zero, ma che, come ci conferma l’Istat, “le ore complessivamente lavorate crescono dello 0,5% sul trimestre precedente e del 2,1% su base annuale”. Ora, se la matematica non è un’opinione e senza essere esperti economisti, il dispositivo congiunto della crescita zero (quindi assenza di incremento della produzione) e dell’aumento delle ore lavorate difficilmente può coniugarsi con  un aumento dell’occupazione, a meno che… A meno che non si assista a un deterioramento qualitativo dell’occupazione. Ed è proprio su questo punto, come vedremo, che il Ministero del Lavoro e Istat, inconsciamente,  si accomunano.

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Fonte: 
Effimera


Autore: Andrea Fumagalli


Licenza: Copyleft 

Articolo tratto interamente da 
Effimera



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