domenica 14 febbraio 2016

Come cambia la vita delle donne


Articolo da InGenere.it 

Dopo l’ultima indagine ad ampio spettro risalente al 2004, l’Istat pubblica una nuova ricerca sulla vita delle donne nel nostro Paese dal 2004 al 2014. L’analisi disaggregata dei dati che questa indagine decennale condotta dall’Istat ci fornisce, ci fa leggere gli aspetti in chiaroscuro del lungo cammino delle donne verso l’emancipazione e la libertà dal bisogno.

Le fasce d’età, così come la collocazione geografica, sono elementi fondamentali per leggere le dinamiche in atto, ovvero i notevoli avanzamenti - concentrati prevalentemente al centro nord - in termini di consapevolezza e capacità di autodeterminazione femminile, e le sacche di resistenza al mutamento, soprattutto nel m,ezzogiorno. Le donne più giovani (24-36 anni), concentrate nel centro nord, sono quelle che emergono: si laureano prima e meglio dei coetanei maschi. Altre, invece, migliorano la loro condizione. Le quarantenni e cinquantenni con titoli di studio elevati hanno visto in questo decennio cominciare ad infrangersi il tetto di cristallo e hanno avuto accesso a ruoli apicali, grazie anche a una normativa che le ha sostenute. Le donne anziane, poi, hanno migliorato la qualità della loro vita: le ultrasessantenni non solo continuano ad avere una vita media più lunga dei coetanei maschi ma sono anche più capaci di inventarsi un nuovo progetto di vita in tarda età.

A fronte di questi cambiamenti positivi permangono zone d’ombra significative che collocano il nostro paese nella tra i paesi europei che non facilitano l’accesso delle donne al mondo del lavoro. Il lavoro infatti rimane la questione fondamentalmente irrisolta della vera emancipazione femminile. La maternità continua a essere considerata il discrimine nell’accesso e nella permanenza nel mercato del lavoro. Le donne in età feconda (34-45 anni), infatti, sono le più penalizzate nel decennio appena trascorso. Quelle che esibiscono un profilo professionale più qualificato e caratterizzante hanno maggiormente resistito alla crisi economica del 2007 anche se spesso collocandosi in posizioni precarie e intermittenti. Quelle invece che esibivano un profilo formativo meno qualificato sono state collocate a margine del mercato del lavoro. In questi anni è aumentato il part-time involontario che piuttosto che rappresentare una scelta della lavoratrice o una strategia dell'azienda volta alla conciliazione, ha rappresentato un modo per segregare ancora di più il lavoro femminile confinandolo in una doppia gabbia: lavoro povero (poco retribuito) e precario (contratti a termine). Su queste fasce di donne, concentrate soprattutto nel centro sud,  si sono scaricati maggiormente i costi della crisi: espulse dal processo produttivo in coincidenza della maternità hanno sostenuto il costo dei tagli ai servizi e al welfare accollandosi, gratuitamente, i compiti di cura.

Nonostante, infatti, l’indagine riveli una crescita di consapevolezza femminile, una maggiore reciprocità tra maschi e femmine nella divisione dei compiti e un progressivo superamento degli stereotipi di genere, tutto questo si manifesta tra le più giovani e soprattutto all’interno di quelle coppie che esibiscono livelli di istruzione superiore. Per molte donne, soprattutto nel centro sud, il decennio trascorso non solo non ha segnato un avanzamento ma addirittura un arretramento sul piano dei diritti e delle opportunità.

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Fonte: InGenere.it 

Autore: 
Chiara Meta

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Articolo tratto interamente da 
InGenere.it 



1 commento:

  1. Questo report è assai interessante: pare che ci sia da fare ancora molta strada prima di arrivare a una situazione accettabile per tutte le donne italiane. (Però devo ammettere che credevo fosse peggiore in generale!)

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