giovedì 20 marzo 2014

La trappola del Fiscal compact




Articolo da Sbilanciamoci.info

Per mezzo dell’invenzione del bilancio strutturale, il Fiscal compact prima, il six pack e il two pack poi, hanno eliminato definitivamente anche quell’esiguo margine di manovra fiscale previsto dal Trattato di Maastricht. Condannando così l’Europa all’austerità permanente

Si parla tanto del Fiscal Compact ma pochi sanno come funziona veramente. E non solo in Italia. Nei corridoi di Bruxelles la voce che gira è che il testo completo del patto “l’hanno letto in 10 e capito in 3”. Quanto c'è di vero, dunque, su quello che si sente in giro?
Tanto per cominciare, c’è da dire che il Fiscal Compact di nuovo introduce molto poco. Il testo poggia in buona parte sul Trattato di Maastricht (1991) e sul patto di stabilità e crescita (1999) – le tavole su cui sono incise le sacre regole di bilancio dell’Ue –, e poi riprende e integra un insieme di disposizioni proposte dalla Commissione nel periodo 2010-11 e per la maggior parte già adottate dal Consiglio e dal Parlamento europeo, come il Patto per l’euro e in particolare il six-pack e il two-pack.
Com’è noto, il Trattato di Maastricht – successivamente rafforzato dal Patto di stabilità e crescita – si componeva di due “regole d’oro”:
  • Il divieto per gli stati membri di avere un deficit pubblico superiore al 3% del Pil. Questo limite risultava l’unico soggetto a sanzioni in caso di mancato rispetto: la Procedura per deficit eccessivo (Pde) obbligava i paesi “in difetto” a intraprendere una politica di restrizione fiscale e a rendere conto delle sue decisioni in materia di spesa alla Commissione e al Consiglio e infine, eventualmente, a pagare una sanzione.
  • Il divieto di avere un debito pubblico superiore al 60% del Pil. Superato questo limite, i paesi “in difetto” dovevano avviare delle politiche correttive. Ma questo vincolo non prevedeva procedimenti sanzionatori.
I pacchetti di regolamenti six-pack e two-pack – entrambi approvati dal Parlamento Europeo – hanno poi introdotto nell’ordinamento europeo l’obbligo del “pareggio di bilancio strutturale” e la sorveglianza multilaterale sui bilanci degli stati membri (che in futuro avranno l’obbligo farsi pre-approvare le finanziarie dalla Commissione).
Di fatto, quello che fa il Fiscal Compact è estendere, rafforzare e radicalizzare la normativa esistente (a partire dal Patto di stabilità e crescita), e istituzionalizzare su base permanente il “regime di austerità” che è stato imposto in Europa in seguito alla crisi.
Il cuore del Fiscal Compact è l’articolo 3.1, che riguarda il famoso “pareggio di bilancio”. Esso afferma che “la posizione di bilancio della pubblica amministrazione di una parte contraente [deve essere] in pareggio o in avanzo”; questa regola si considera soddisfatta se il deficit strutturale annuale delle amministrazioni pubbliche risulta inferiore allo 0,5% del Pil. I paesi devono garantire una convergenza rapida verso questo obiettivo, o verso l’obiettivo di bilancio di medio specificato per il singolo paese, secondo una forcella stabilita tra il -1% del Pil e il pareggio o l’attivo. I tempi di questa convergenza verranno definiti dalla Commissione. I paesi non possono discostarsi da questi obiettivi o dal loro percorso di aggiustamento se non in circostanze eccezionali. Un meccanismo di correzione è avviato automaticamente se si individuano forti divergenze; ciò comporta l’obbligo di adottare misure volte a correggere queste deviazioni in un periodo determinato.
Ma cosa si intende esattamente per “bilancio (o deficit) strutturale”? Secondo la logica alla base del Fiscal Compact, sussiste un deficit strutturale quando un paese continuare a registrare un deficit pubblico anche se la sua economia sta operando al “massimo potenziale”. Si tratta in sostanza di un indicatore che dovrebbe permettere alla Commissione di giudicare se il deficit pubblico di un paese sia dovuto alla congiuntura economica – come nel caso di una crisi economico-finanziaria, per esempio –, nel qual caso potrebbe essere eliminato per mezzo della crescita; o se invece sia “strutturale”, ossia continuerebbe a sussisterebbe anche se il paese riprendesse a crescere e arrivasse ad operare al massimo potenziale. La premessa è che in condizioni economiche “normali” un deficit è considerato “normale” se non supera lo 0,5% del Pil. Questa idea riflette la visione neoliberista della politica di bilancio come di una politica “neutrale”, che non è né espansiva (attraverso un’iniezione di reddito all’interno del circuito economico) né recessiva (mediante un aumento del risparmio pubblico).

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Autore: Thomas Fazi

Licenza: Copyleft


Articolo tratto interamente da Sbilanciamoci.info

1 commento:

  1. Molto interessante il tuo post, ho letto, ma devo rileggerlo per ben comprendere. Chissà se serviranno tutte queste regole, a volte mi sembrano inutili.
    Ti avviso che ti ho fatto un regalo, vieni da me se ti va di ritirarlo. Baci.

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