sabato 5 maggio 2012

L'Argentina nazionalizza il petrolio

Poster celebrating the government's nationalisation of oil company YPF, Córdoba, Argentina

Articolo da Unimondo.org

Dignità, sovranità, decolonizzazione. Queste le tre parole chiave per capire cosa è successo pochi giorni fa in Argentina, quando la presidente Cristina Fernandez, di ritorno dal Vertice delle Americhe ha annunciato che il governo avrebbe presentato al Congresso la proposta di legge (in.pdf) per espropriare il 51% delle azioni società petrolifera YPF alla spagnola Repsol. In Spagna, ma anche nel resto d’Europa, si è gridato all’attacco al libero mercato e al pericolo della mancanza di “certezza legale” per le imprese e multinazionali che decidono di investire in un paese come l’Argentina. In America Latina al contrario si è invece applaudito al provvedimento, con tanto di corsa alle congratulazioni per la coraggiosa decisione presa del paese del Cono Sur.
Alla YPF erano già state revocate le concessioni in 16 province, dopo che la compagnia era stata accusata di essere venuta meno ai suoi obblighi di investimento. Questo 51% andrà ripartito per il 26% allo Stato federale e per il 25% alle Province che hanno nel loro territorio pozzi petroliferi.



In ogni caso l’annuncio presidenziale ha chiarito che non si tratta di una statalizzazione, la forma giuridica della YPF infatti continuerà ad essere una spa con capitale aperto a tutti gli investitori, sia locali che stranieri. La stessa Repsol continuerà ad avere un 6% delle azioni, il Grupo Petersen seguirá con poco più del 25%, trasformandosi nel secondo investitore dopo lo Stato. Il rimanente 18 % rimarrà in circolazione attraverso le borse.
Dopo l’annuncio dato dalla Casa Rosada lo scorso 16 aprile, la Commissione Europea ha deciso di non partecipare alla riunione bilaterale Argentina-Ue, la portavoce della Commissione Ue, Pia Ahrenkilde Hansen, ha dichiarato infatti che “alla luce del clima che si è venuto a creare per via della vicenda dell’Ypf la Commissione e l’Alto rappresentante per gli Affari esteri hanno deciso di posticipare l’incontro bilaterale del 19 e del 20 aprile”. Mentre la Commissione annunciava che “valuterà tutte le opzioni possibili per far fronte al problema che si è creato - perché l’esproprio è un segnale veramente negativo per gli investimenti e per le attività di affari in Argentina - e non solo in Argentina”, dall’altra parte dell’Atlantico dal Parlamento Latinoamericano commentavano la decisione come “un atto di sovranità energetica, per il benessere della popolazione” condannando categoricamente la controffensiva di Madrid e dell’Unione Europea. Con una risoluzione approvata a Panama, la giunta direttiva del Parlatino ha espresso il suo pieno appoggio a Buenos Aires, ritenendo che la misura contribuirà “a soddisfare la domanda nazionale e alla diminuzione del prezzo del greggio” L’organismo “si unisce alla posizione dei governi di America Latina e Caraibi che, in maggioranza, hanno manifestato solidarietà con questa decisione, orientata a beneficio non solo della crescita e dello sviluppo della popolazione argentina, ma anche alla promozione dell’integrazione energetica della regione”.
In Argentina, il paese dove le imprese vengono recuperate con iniziative dei lavoratori, anche lo Stato torna a prendersi quello che un tempo era suo, e che era stato svenduto durante i governi di stampo neoliberista. “Siamo l’unico paese del mondo a non avere nessun controllo sulle nostre risorse naturali” ha detto la presidente Fernandez mentre spiegava agli argentini a reti unificate il perché della decisione presa con un provvedimento d’urgenza. L’interesse pubblico torna a prevalere sull’interesse del mercato e del sistema capitalistico che lo legittima. Un significativo stop che potrebbe fare da apripista ad altre iniziative, anche perché proprio CFK ha annunciato che questa non sarà l’unica azione. E i mercati tremano, e con loro le grandi multinazionali abituate finora ad accaparrarsi le risorse naturali dei paesi del Sud del mondo. Dall’accaparramento di terre noto come land grabbing, allo sfruttamento delle miniere, alle risorse idriche, solo per fare alcuni esempi, in tutti questi contesti le grandi multinazionali del nord del mondo hanno messo le mani in America Latina, e ora un capo di Stato mette un freno.
Fare della decolonizzazione economica una questione politica e regionale è la grande sfida che molti paesi dell’America Latina stanno lanciando. Con le proposte di cambiamento sociale - il Socialismo del XXI secolo, il Sumak Kawsay, il Buen Vivir, le iniziative di regionalizzazione economica come Unasur e il Banco de Sur, sono senza dubbio i primi passi di un cammino ancora lungo, ma che ormai è in marcia e la direzione sembra essere già tracciata.
Lo Stato Plurinazionale di Bolivia, ha fatto un passo da gigante nel mettere la decolonizzazione economica come punto chiave nella politica del paese per un processo di cambiamento, cosi come pianificare successivamente la necessità di politiche di stato e costruire il quadro legale per metterle in atto. Ma anche in Ecuador con le iniziative come il rifiuto di pagare un debito estero, considerato illegittimo da un organo di controllo ad hoc, o e nel pioniere Venezuela che ha nazionalizzato la società petrolifera nel 2005, sono tutte iniziative che mirano al riscatto del continente ma anche a dare esempi positivi e alternativi, e a ricordarci che la strada non è sempre e solo una.


Fonte: Unimondo.org


Autore: Elvira Corona (autrice di Lavorare senza padroni)

Licenza: Licenza Creative Commons
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Articolo tratto interamente da
Unimondo.org


Photo credit  -Chupacabras- caricata su Flickr - licenza foto: Creative Commons


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